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Gli effetti negativi della prescolarizzazione

Giugno 23rd, 2016 | Posted by filippo in news - (Commenti disabilitati su Gli effetti negativi della prescolarizzazione)

articolo28_1Alfabetizzare i bambini già alla scuola materna non fa bene. Meglio lasciarli giocare finché possibile, perché i benefici registrati nei piccoli allievi “prescolarizzati” sono momentanei e nel tempo possono trasformarsi in svantaggi. O addirittura in danni, disagi in ambito sociale ed emotivo.
La prescolarizzazione, ovvero l’anticipo nell’acquisizione di competenze scolastiche, può avere effetti negativi sui bambini. La conferma arriva ormai da numerose ricerche. È tendenza comune pensare che “preparare” i piccoli alla scuola elementare già con esercizi durante l’ultimo anno di materna, anticipare la data di inizio della scuola obbligatoria, scolarizzarli prima insomma, costituisca un vantaggio perché li prepara ad affrontare “il passo successivo”, e che faciliti il loro percorso accademico. Ma non è così. Anzi.
Alcuni studi statunitensi hanno messo a confronto le scuole materne orientate alla preparazione accademica con quelle basate su gioco, esplorazione e socializzazione, scoprendo che i benefici registrati nei piccoli allievi “prescolarizzati” sono momentanei, e nel tempo possono trasformarsi in svantaggi. Esperienze educative non adeguate al livello di sviluppo o in sintonia con i bisogni e le possibilità dei bambini possono causare gravi danni, tra cui sentimenti di inadeguatezza, ansia e confusione.
Nessun dato dimostra i vantaggi protratti di un’alfabetizzazione anticipata, mentre ne esistono a favore del gioco libero. Come prevedibile, la formazione anticipata migliora i punteggi ai test specifici in linea con la formazione ricevuta (ad esempio lettura o scrittura), però i guadagni iniziali si perdono entro i tre-quattro anni e, almeno secondo alcune indagini, con il tempo si invertono. Il dato più significativo è che a lungo termine si riscontrano disagi in ambito sociale ed emotivo.
I bambini iper-scolarizzati in anticipo risultano tendenzialmente giovani adulti più aggressivi, portati alla lite e al contrasto, poco empatici rispetto a coloro che da piccoli hanno avuto la possibilità di giocare. Gli esperti ipotizzano che il gioco libero permette di imparare a rapportarsi agli altri, di sviluppare modelli di responsabilità personale e comportamento prosociale. Consente di appropriarsi di quelle preziose competenze relazionali indispensabili nella vita. Nelle aule dove si sottolinea invece la preparazione, il rendimento, il fare bene i compiti, si richiedono performance, si sviluppano modelli competitivi, orientati alla realizzazione personale, al farsi strada.
Sulla base di una serie di esperienze ed evidenze scientifiche, sembra non ci sia motivo per cui i bambini debbano imparare a leggere a 5 anni quando, imparando a 6 o 7, poi a 11 fanno altrettanto bene, mentre si sa che impegnarsi nella lettura o scrittura in età precoci ruba tempo ad altre attività necessarie. I dati ci dicono anche che disturbi d’ansia e di depressione nei bambini appaiono correlati alle pressioni accademiche e alla mancanza di gioco. Come ricorda lo psicologo e biologo Peter Gray, professore presso il Boston College e autore del best seller in USA “Lasciateli giocare” (Einaudi), il gioco è il mezzo naturale per educare se stessi, il modo in cui i bimbi fanno esercizio di quelle competenze necessarie per diventare adulti efficaci: andare d’accordo con gli altri, cooperare efficacemente, controllare i propri impulsi ed emozioni. Ideare, sognare, pensare. Compresa la creatività, base per acquisire ed imparare.

Brunella Gasperini, psicologa
Tratto dalla rivista: D la Repubblica

Letture a fil di voce

Maggio 18th, 2016 | Posted by filippo in news - (Commenti disabilitati su Letture a fil di voce)

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La nostra biblioteca nasce come luogo per coltivare e implementare conoscenze, saperi, attitudini e abilità trasversali, utilizzando nuove metodologie didattiche. La biblioteca rappresenta così un luogo di apprendimento, uno spazio vivo, attivo, aperto, capace di garantire a ciascuno e a tutti sia la necessaria autonomia nella scelta e nell’esplorazione dei libri, sia tutto il supporto opportuno e richiesto perché tale esplorazione si integri al meglio con le pratiche di insegnamento e di apprendimento proprie della nostra scuola. In biblioteca, inoltre, organizziamo letture anche con i genitori per sensibilizzare l’importanza della lettura in famiglia poiché costituisce una modalità di comunicazione di grande significato relazionale.

Pedagogista Clinico Rosalba Bratta

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SORPRESA! : Scuola dell’Infanzia batte Oxford

Aprile 15th, 2016 | Posted by filippo in news - (Commenti disabilitati su SORPRESA! : Scuola dell’Infanzia batte Oxford)

articolo24_1Finalmente leggo un articolo che valorizza l’importanza di una buona scuola dell’Infanzia.
Una buona scuola dell’Infanzia rende studenti migliori, dice l’articolo, a 11 anni sono migliori dei coetanei nelle discipline e hanno un comportamento scolastico più controllato e socievole.
In cosa consiste una buona scuola dell’Infanzia?
La risposta la da Susanna Mantovani, rettrice della Bicocca, dopo un sondaggio, spiega, i genitori e gli educatori concordano sul fatto che i bambini nella fascia 0-6 devono imparare a sviluppare capacità e risolvere problemi, più che imparare nozioni. I bambini che hanno frequentato buone scuole dell’Infanzia sono ragazzi che riescono meglio nelle prove INVALSI. Test che invece vanno esclusi dalle scuole dell’Infanzia: «Ci sono rischi di stigmatizzazione precoce» anticipa la prof.ssa Anna Bondioli, del gruppo di lavoro ministeriale.
Meno valutazione, più problem solving, laboratori dove provare. Il governo dovrà varare entro l’anno, come prescrive la riforma Renzi, una legge per ridefinire le regole per lo 0-6 anni.
I pedagogisti suggeriscono insegnanti con formazione accademica, coordinatori pedagogici per controllarli, spazi e tempi adatti ai ritmi lenti dei bambini, progetti pilota per costruire un sistema educativo di qualità improntato più alla sperimentazione che al nozionismo dove il bambino può toccare, immaginare, fantasticare. I bambini piccoli, spiega Nice Terzi, presidente del gruppo Nidi-Infanzia non devono apprendere, ma capire come si apprende. Il resto verrà dopo!

Pedagogista Clinico Rosalba Bratta
Tratto dal Corriere della sera del 27 febbraio 2016

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La didattica digitale del “fare” nella scuola dell’Infanzia

Aprile 12th, 2016 | Posted by filippo in news - (Commenti disabilitati su La didattica digitale del “fare” nella scuola dell’Infanzia)

articolo25_1Quindici anni fa avremmo detto che la nostra era una scuola digitale perché riuscimmo ad organizzare il laboratorio di informatica. Una stanza con due computer che venivano utilizzati rigorosamente con la presenza dell’insegnante e i bambini avevano un tempo misurato per poter utilizzare il computer uno alla volta. Il tempo e l’esperienza sul campo ci hanno portato a comprendere che la scuola digitale non vuol dire avere le attrezzature multimediali e permettere al bambino di esplorarle, ma utilizzare le tecnologie in modo efficace nell’ottica di un processo di rinnovamento delle metodologie didattiche e, all’interno del normale curriculum scolastico, possono favorire il conseguimento di precisi obiettivi didattici.
Nella nostra scuola è in atto una seria riflessione sul ruolo delle tecnologie nella didattica, una didattica che sappia veicolare i contenuti e individuare strategie di apprendimento. Per questo motivo il software assume un ruolo determinante.
Il software è stato studiato per integrarsi perfettamente con il nostro pensiero pedagogico ossia uno strumento che renda il bambino protagonista del proprio modo di agire e apprendere, un software che entra in sezione, nel quotidiano, a supporto della didattica a tutto tondo con la finalità di migliorare e modificare i processi di apprendimento. Partendo dalla convinzione che il bambino impara facendo abbiamo creato un ambiente virtuale in cui egli diventa “artigiano” attraverso un’esperienza che invita a provare…fare…sbagliare…e impare!
L’introduzione e l’uso del computer non è dunque un’operazione che lasciamo alla spontaneità, dietro c’è sempre un accorto lavoro di costruzione e formazione che si traduce con la realizzazione del setting didattico permettendo al bambino di dare senso al suo processo di apprendimento.

Pedagogista Clinico
Dott.ssa Rosalba Bratta

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